Gianfranco Damico

Gianfranco Damico

Io non sono mai stato in Argentina.

E’ l’Argentina che è stata da me, e non se ne è più andata.

Io ho guardato negli occhi l’Argentina attraverso gli occhi dei miei, attraverso il loro cuore.

Sono figlio di siciliani che agli inizi degli anni ’50 emigrarono a Buenos Aires. Erano in 3, mio padre, 3 fratelli, e c’erano già i cugini. Mia madre aveva poco più di vent’anni quando lo raggiunse, mia sorella credo 1 o 2. Mio fratello è nato là.

Io sarei nato dopo, dopo il rientro in Italia e la ripartita in Svizzera. Io sono nato in Svizzera, a Zurigo. Cosa c’è di più lontano da Buenos Aires, di Zurigo? Eppure io Buenos Aires ce l’ho sempre avuta nel sangue.

Il mio sangue di Buenos Aires sono tutti i racconti dei miei.

E’ le serate popolari al Teatro Colon, tra luci sfavillanti e meravigliose allestimenti lirici; E’ le passeggiate lungo le calles –prima fra tutte “la calle que nunca duerme”- dove mia sorella, guardando gli infiniti ricchissimi locali, tirava la mano ai miei dicendo: “mira, acca se come!”; E’ la casetta faticosamente costruita, dove razzolavano galline e paperelle, in quella campagna piatta, ma bellissima, e piena di vita; E’ mia madre che si fa dare dal macellaio “del fegato per il gatto”, che lì il fegato lo buttavano, ma loro lo mangiavano eccome, o che va a comprare un etto di “burro”, tra le risate generali; E’ la mia famiglia in ghingheri a Plaza de Mayo, elegante, cosmopolita, nelle sue uscite domenicali; E’ mio padre tifoso di “Boca Junior”, e che diventa interista per l’intera vita vibrando di gioia alla conquista della coppa intercontinentale alla “Bombonera”; E’ ancora mio padre che, magazziniere al “Clarin”, atterra a pugni un deficiente che parlava male dei “gallegos de mierda”; E’ mia madre che canta, con la sua voce bambina, “Limon Limonero” e “Caminito” e “Buenos Aires mi querido”; E’ quella donna provocante che insidiava mio padre, in quei due anni in cui ancora mia madre non era là, perché

“dovevi vedere cos’erano, queste donne argentine, e a quanti italiani facevano scordare la famiglia!”, e che lei mise a posto con un graffio di sguardo appena arrivata;

E’ quella maledetta giornata in cui una montagna di tavoloni rotolò addosso a mia sorella uccidendola quasi, e l’Ospedale Italiano curò per mesi non chiedendo soldi al mio papà operaio, e sono quei medici e infermieri e connazionali che resero il lieto fine a quella che sembrava una tragedia irredimibile; E’ mia madre che con mia sorella in braccio, attraversava per lungo la città immensa per portarla a fare fisioterapia; E’ la bambola che si ritrovò mia sorella, quando Evita Perón portava i giocattoli ai figli degli operai italiani; E’ persino la gigantesca nave, la “Giulio Cesare” che riportava in Italia tutti loro e un’inconsolabile sorella, che era argentina ormai fino al midollo.

Giulio cesare

Viaggio inaugurale della Giulio cesare

Questo.

Tutto questo è la Buenos Aires che mi rotola nelle vene. Ma un’immagine lo è più di tutte, le sovrasta tutte, le ingloba tutte. Un’immagine che io mille volte richiamavo da mia madre, per averne la magia indescrivibile. Grande, mi mettevo di fronte a lei e le chiedevo: “mamma, ma come fu, per te, arrivare a Buenos Aires dalla Sicilia, da Buccheri?”.

Lei allora alzava lo sguardo e gli occhi prendevano a scintillarle, come se mille fiammelle si accendessero tutte insieme in una sinfonia di gioia; Quegli occhi mi guardavano per mezzo secondo, poi prendevano a fissare un punto, un altro punto, qualunque altro punto, e lei diceva con un tono da bambina dentro il vortice della meraviglia:

“certo, arrivare lì, da Buccheri, e ritrovarsi di botto in quella Gran Buenos Aires…”.

E basta. Non aggiungeva niente. Restava così, sospesa, incantata, senza dirmi il resto. Il resto era lì, a scintillare dentro di lei; il resto era lì, in quel punto che fissava, e che io potevo solo immaginare. E io immaginavo, attraverso i suoi occhi, la città più bella, più grande, più immensa, più sfavillante, più ricca, più magica, più dolce, più suadente e sensuale, più vibrante che mai la terra avesse potuto vedere.

BuenosAires-Plaza del Congreso vista da Palacio Barolo

Buenos Aires – Plaza del Congreso vista da Palacio Barolo

Questa è per me la Buenos Aires che mi vibra dentro. Portatemi a Buenos Aires! Vi prego, portatemi a Buenos Aires!

Come è possibile, per me, far trascorrere ancora troppo tempo, prima di andare a trovare questo mio pezzo d’anima?”